Don Chisciotte

La prima volta che lessi Don Chisciotte, ormai decenni fa, mi sembrò che fosse, tra le altre cose, un trattato sulla follia maschile.

Quello che Don Chisciotte rappresenta e incarna è un tipo di follia decisamente maschile, che è diversa dalla follia femminile. D’altra parte anche la statistica psicopatologica ci dice che ci sono tipi di problematiche mentali molto più frequenti nelle donne, mentre altre affliggono maggiormente gli uomini. Questo per dire che la mia impressione sul Don Chisciotte è supportata da dati che dividono in maniera non certo netta ma comunque significativa le manifestazioni maschili da quelle femminili.

Che poi Don Chisciotte e sì un folle, certamente, ma l’autore ci lascia a mio parere con una ambiguità di fondo che non è soltanto quella generalmente riconducibile ai movimenti dell’antipsichiatria e similari che sostengono che i pazzi in realtà sono più sani dei presunti normali e via dicendo, secondo me Cervantes con una sensibilità estremamente profonda ci vuol dire che Don Chisciotte è una figura eroica, profetica, che si immola sacrificando il suo senno affinché gli altri vedano e capiscano che si può vivere anche oltre gli angusti limiti imposti dalla razionalità bigotta ed egoista, borghese o villana che essa sia.

La mia è una lettura arbitraria che si muove nei territori della letteratura, senza pretendere di aver nessun senso clinico, ovviamente. Una volta precisato questo, mi sento di ribadire quanto detto dal momento che l’immagine di fondo che Don Chisciotte lascia nella mente, dopo anni dalla lettura e rilettura dell’opera, non è tanto quella del pazzo che attacca i giganti e combatte con gli otri di vino nei castelli incantati, quelle sono rappresentazioni superciali, godibilissime e sicuramente importanti, ma l’immagine che viene lentamente formandosi in testa è quella di un eroe buono, tanto affettuoso quanto sapiente e maestoso, colmo di coraggio e di saggezza che non può fare a meno di trasmettere al prossimo nel suo particolare modo, ovvero mostrando a tutti il suo amore, le sue bizzarrie e le esagerazioni, le cadute e la testardaggine di riprovarci ogni volta inseguendo i suoi sogni strampalati.

Ci ha mostrato insomma il perimetro lungo il quale potersi muovere senza rinunciare troppo a sè stessi, evitando nel contempo un’espansione incontrollata del proprio sè. Lui sì l’ha fatto di espandersi oltre al giusto consentito, è vero, ma era per indicarci fin dove possiamo arrivare, cioè per renderci chiaro qual’è il perimetro appunto entro il quale possiamo aggirarci senza eccessive paure.

Vivere al confine di sè stessi; nè troppo nascosti dentro sè, né troppo fuori dalla propria pelle, in mondi che non ci appartengono.